L`essenza di tutte le cose (Art Woman)
Dal 10/03/2012 al 10/04/2012.
A cura di Dores Sacquegna
La mostra “L’essenza di tutte le cose” indaga con rigore il rapporto ambiguo tra vita e arte, tra quotidianità e creatività, tra dimensione domestica e valenza universale, tra sacro e profano, con opere che mostrano a tutto tondo il “femminino”, visto come archetipo della vita, ambiguo e contraddittorio, difficile da esplorare.
Messaggi nati con il mondo, come “Atlantis” o la “Godness Mother” di Asli Kutlay (Turchia, 1970), archetipo del femminino, una delle divinità arcaiche più antiche ed interessanti dell’area del Mediterraneo, che ancora oggi è un archetipo di grande modernità e che investe aspetti sociologici del mondo contemporaneo.
Dalla forza generatrice alla forza combattente della Femme guerrière” di Katelyne Ostyn (Belgio,1962, vive in Francia) sino alla “femme fatale” di Marisa Manuzzato (Venezuela,1968, vive in Spagna). Donna-insetto, ape-regina nella surreale scultura “L’origine del mondo”, Maria Luisa Imperiali (Milano, 1958), dove si riscontra quell’automatismo psichico che caratterizza il suo lavoro, mentre sul piano più poetico la narrazione privata con il video “Private Conversation VI” di Elisa Laraia (Potenza, 1973) nel costante dualismo di donna-uomo, dentro-fuori, visibile-invisibile.
C’è indubbiamente un filo che collega le opere di Nadine Rolland (Francia) e Meltem Soylemez (Turchia, 1972). Con “3 generation” Nadine Rolland, riflette sulle tre età con le loro contraddizioni e verità: infanzia, adulto e vecchiaia, mentre sul piano linguistico Meltem Soylemez, indaga l’angoscia infantile, i sogni e gli incubi degli uomini. Figurazione ed astrazione, ricchezza narrativa e rigore formale, nell’installazione “L’inaffer-labile” di Ezia Mitolo (Taranto) che invita lo spettatore ad interagire con la scultura.
Mani che si sporcano, toccano, accarezzano strani corpi sotto pelle, fluidi vitali che scorrono tra le mani e che destano un senso di repulsione, mostrando una anatomia fatta a pezzi. L’elasticità del corpo che elude le leggi di gravità e diventa materia nella quale si può vedere per metafora la sua integrità e solidità di pensiero. L’arte di Wendy Roach (Usa) è legata ad una manualità artigianale, nei suoi “Translucent Origami”, l’uso dell’argento, un colore che nega se stesso, segno che punta alla metafora, alla leggerezza.
Analisi del sé nelle opere di Adriana Marmorek (Colombia), che ha saputo innovare il proprio linguaggio proponendo l’opera “Essais for an object of desire” in un praxinoscopio e che rappresenta la realtà del nostro tempo, funzionale e oggettiva. Sui balli popolari turchi, la recente ricerca di Emine Tokmakkaya (Turchia, 1963), in cui raffigura i dervisci roteanti che con la loro danza risvegliano la vita. Judith Duquemin (Australia, 1953) con l’aiuto della tecnologia più sofisticata, mette in relazione il mezzo pittorico con quello digitale e compie le sue metamorfosi in “Reconstructed Painting, Formal Garden”.
Con la “Lightscape” di Marna van Heerden (South Africa), l’artista riflette sull’identità femminile, oggi sempre più “mutante”. Le opere di Pat Arnao (Usa) indagano l’identità, le storie, la memoria, il movimento, i confini personali e fisici esprimendo la casualità nel tempo. L’opera “Nepal” di Katarina Norling (Svezia, 1963), è caratterizzata da una grande potenza evocativa, narra di un mondo onirico, sospeso tra medianicità e misticismo. Sul dualismo natura-artificio, le “Figure zoomorphe” di Anne Desfour (Francia, 1965), dalla natura ibrida sospese tra mutazione e modificazione genetica.
Nelle trasparenze dei “Crystal Quarts” di Barbara Neulinger (Usa) la luce è protagonista, conduttore e trasformatore di energia pura nelle sue forme allungate e translucide. Un micro mondo è quello rappresentato con “Chair II” da Sarazen Haile (Usa),un mondo intimo e privato, iconoclastico, come un luogo estraneo osservato dal buco della serratura.
“Goods gone bad”, che sta a “merci andate a male”, l’installazione di Massimiliano Manieri accompagnata dalle sonorità della flautista Giorgia Santoro. In questa operazione alchemica, dove il colore, il suono, l’oggetto e lo spazio, diventano elementi importanti per Manieri, l’artista attualizza la metafora pandoriana facendola rivivere come una nuova esperienza primordiale, quasi magica, un mix di elementi di natura povera (scatole di pomodori), diventano soggetto e oggetto essenziale di una ricerca che scandaglia meccanismi eterogenei e che invita lo spettatore ad essere parte attiva in una dimensione quasi onirica ma che ingloba in questa sorta di igloo, una scatola magica, in cui ciascuno rivede se stesso, come oggetto-soggetto del desiderio.