101 ALLEGORIE PER RAPPRESENTARE IL MONDO
Dal 09/09/2010 al 30/09/2010.
Tra i concetti di Galimberti la curatrice ha scelto 101 frasi, invitando gli artisti a rappresentarle. E come spesso accade nei giochi dadaisti , gli artisti hanno attinto da questo straordinario dizionario simbolico con una varietà di concetti e forme linguistiche. L’americana Pam Longobardi denuncia la società di consumo, intesa come vuota di valori con i suoi “specchi non specchianti di Saffo” realizzati in plastica nera recuperata sulle spiagge del mondo. Fernando De Filippi, leccese, si ispira al “tempo della natura” con le opere “ I miei rami sono la dimora degli spiriti dell’aria”.
La follia, interpretata nel simbolismo informale pittorico del brindisino Donato Bruno Leo, nella sua recente serie dell’isola degli sguardi, e la realtà surreale nelle “Metropolis” del pechinese Yu Zhaoyang, nel costante desiderio dell’invalicabilità del limite.
La mostra si snoda in una serie di interpretazioni che scardinano i valori della società del benessere, attraverso una diversificata e intelligente metafora del tempo presente, in cui la tecnica è diventata l’ambiente che ci circonda e ci restituisce quelle regole di razionalità che si misurano sui criteri dell’efficienza e della funzionalità.
Su “la tecnica è il nostro mondo” le fotografie del belga MattBed, con “l’uomo abita la differenza” la dark queen che simboleggia la lussuria (serie peccati capitali) del salentino Dario Manco. Identità e riconoscimento nei paesaggi artefatti della giovane inglese Helen Saunders, mentre “sulla cultura come condizione fisica dell’esistenza” le fotografie del giapponese Motohiko Hasui.
Riflettendo sulla memoria e sulla sua perdita, il dizionario allegorico della genovese Margherita Levo Rosenberg con “Memoria lacunare 1” che con fare dadaista ha recuperato alcune frasi da un libro di scienza e tecnica, riportandole nel suo breviario di coni con pellicole radiografiche impressionate e che rappresenta l’interezza della vita e la presenza mnesica. Sul destino e la casualità il “Kismet” (una sorta di finestra sul mondo musulmano) l’opera dell’americana Elisabeth Louy, che riflette anche sul concetto dell’abisso della follia (con Ode a Ceres) e sulle etnie rituali Masai del corpo come rappresentazione dell’anima. L’io e il mondo nelle fotografie su seta “Almost in the dark” della polacca Gabriela Morawetz, mentre sull’associazione tra spreco e conservazione le “macchinazioni” del barese Vito Sardano, che si basano sul principio della differenza tra l’uomo e il simbolo e sul simbolismo della percezione.
Sul linguaggio come orientamento delle pulsioni e come cura, le opere pittoriche della francese Nine Rolland e dell’artista turca Pinar Selimoglu. Sulla nascita della psicologia della mente, le opere dell’australiana Marnie Pitts. Più ironica la ricerca della francese Olga Suarez e dell’olandese Peter De Boer, sul paradosso della guerra ed il primato della cosmografia sulla storia. A Kundera e alla sua “insostenibile leggerezza dell’essere” la scultura in polistirolo dell’olandese Cor Fafiani. Sulla solitudine e il silenzio, le fotografie in bianco e nero dell’abruzzese Paolo Di Giosia, su fede ed erotismo, l’installazione “Sinfonia per organo” del salentino Massimiliano Manieri.
Ed ancora, con la nostalgia della primitiva innocenza e i “primi giochi di spiaggia” nelle opere pittoriche della fiorentina Monica Branchetti, ed infine sul calvario dello spirito, sull’istinto come legge e il feticismo del sistema,l’ opera del venezuelano Carlos Anzola con “Cruz”, realizzata con fotografie di uomini e donne abbandonate ad un destino fatale di morte e dolore.
La performance di Massimiliano Manieri dal titolo “memoria delle superfici”si collega che nella sua lettura più ampia alle parole del filosofo francese Baudrillard nella sua “Illusion de la fin” in relazione alla morte dell’oggetto e al senso di perdita. Manieri ne ribalta il concetto, intavolando una piece dove egli stesso rappresenta l’oggetto e il soggetto del desiderio. Natura e artificio, corpo come cibo e pratica di potere e di selezione, valore d’uso e valore di scambio, biodiversità e cultura di massa. Su questi concetti si innesta la ricerca del I atto performativo, sulla dicotomia dell’ “Obbedienza & C-Astrazione”, dell’ uomo-simbolo-simulacro, alienato dalla società industriale. Una provocazione colta sul mutamento dalla qualità alla quantità, sulla strumentazione tecnica dei media.